E’ MORTO COME VOLEVA, ACCUSANDO di Leonardo Coen
MILANO La mazzetta dei quotidiani che Silvana Silvestrini, l’ edicolante di via Torino, gli prepara ogni mattina, è sul letto. Enzo Tortora ha una voglia avida di leggere: per troppo tempo ha dovuto rinunciare alla solita indispensabile razione di lettura. Un giornalista senza notizie è come un pesce senz’ acqua. Adesso si sente decisamente meglio. Più in forma, più tranquillo: ha anche fatto colazione, seduto, al tavolino della cucina. Un’ abitudine interrotta dalla malattia, dai ricoveri in clinica, dalle cure chemioterapiche. Tanta paura di morire, unica debolezza ammessa, ma anche tanta voglia di lottare, di far sapere a tutti che lui, il cittadino Enzo Tortora nato a Genova il 30 novembre del 1928, avrebbe combattuto fino in fondo: contro il cancro che lo aveva vigliaccamente colpito al polmone sinistro e contro l’ ingiustizia che lo aveva offeso, umiliato, distrutto. La radio è accesa, un sottofondo che non lo disturba più, come nei giorni scorsi quando non poteva leggere, né vedere la tv, né parlar troppo. Lui scorre i titoli, intanto. Francesca Scopelliti, la compagna di questi ultimi drammatici anni, lo ha appena aiutato a ritornare a letto, sotto l’ occhio vigile e preoccupato dell’ infermiere Walter. Tortora è di buon umore: Davvero, mi sento bene stamane dice a Francesca per rassicurarla. Lei annuisce, sorridendo. E’ duro dover sempre sperare. Ma Enzo da lunedì sembra rinato, parla di nuovi progetti per nuove trasmissioni in tv, scrive lettere, tutte le energie che ha in corpo sono per la Fondazione Europea che è stata appena costituita, per questa sua estrema battaglia dedicata alla giustizia giusta. Sono le dieci e trenta. Alla radio sta per cominciare Roma 3131. D’ un tratto, Enzo sente al petto come un’ oppressione. Ha voglia di tossire, di liberarsi del catarro. Così gli pare. Macché catarro. Macché tosse. Quell’ ansito rauco che sembra un colpo di tosse è l’ ultimo suono della sua vita: la morte lo agguante rapida. Forse non se ne accorge nemmeno. Muore come voleva: lucido di mente, sereno, vicino a Francesca. Silvia, la figlia, sta in redazione a Segrate, dove lavora a Epoca. Glielo dicono per telefono. La sorella di Enzo, Anna, la sua seconda anima professionale (la coautrice di tante fortunate trasmissioni), è andata con il marito Giampaolo Carrozza e il figlio Luca di ventun anni al funerale della madre di Gigliola Barbieri, per tanti anni segretaria e collaboratrice inseparabile del presentatore. Armando Santoro, il trentottenne oncologo dell’ istituto dei tumori che sta seguendo passo per passo la malattia di Tortora, si precipita al quarto piano di via Piatti 8, una corsa disperata, solo per diagnosticare l’ arresto cardiocircolatorio del suo paziente. Francesca è sconvolta, non riesce ancora a crederci: Sembrava rimettersi continua a ripetere. I medici conoscono bene queste illusioni delle malattie senza ritorno, lo chiamano il canto del cigno. Il citofono della portineria squilla a lungo: Per favore, signora Giuseppina, non faccia salire nessuno senza avvisarmi prima chiede accorata Francesca Scopelliti alla custode del palazzo, Enzo è morto. Giuseppina Buffonella sente un nodo che le impedisce di rispondere subito. Il postino poggia il pacco di lettere. Enzo non potrà mai più rispondere agli auguri di Laura, Sara, Vittorio e Jole che stanno a Pescia Romana. La busta del professor Nicola Piccardi, che insegna diritto fallimentare all’ Università di Roma, è arrivata troppo tardi: il docente ha scritto libri su libri, tutti dedicati al tema della responsabilità del magistrato. Aveva ricevuto un messaggio di Tortora: Professore, ho letto quel che lei ha scritto, libri che io condivido. I giudici hanno sbagliato nei miei confronti…, Caro Tortora, anche se non ci conosciamo di persona, ritengo interessante…. Sotto, una copia della rivista Giustizia Penale, la bolletta del telefono, una busta della Banca Manusardi. Da casa Tortora si telefona a Roma, per avvisare il Partito radicale. In aula, a Montecitorio, Marco Pannella con voce rotta annuncia in aula a Montecitorio proprio all’ inizio dell’ intervento del dibattito sulle riforme istituzionali che circa mezz’ ora fa è venuto a mancare Enzo Tortora. La notizia rimbalza alle agenzie di stampa, ai giornali, alla radio. A Milano, fra i primi ad accorrere, sono Mario Raimondo, direttore della sede Rai locale, e Gigi Speroni, collaboratore e amico di vecchia data. La strettissima via Piatti, a due passi da piazza del Duomo, si riempie di cronisti, fotografi, di cameramen. Quante volte questo rito si è ripetuto, in cinque anni da quel 17 giugno del 1983, il giorno dell’ arresto… Ma questa volta nessuno salirà al quarto piano della scala interna di sinistra. Solo i parenti, solo gli amici veri. E’ già arrivato l’ impiegato dell’ agenzia di pompe funebri Fusetti di via Francesco Sforza. Giampaolo Carozza, il marito di Anna e cognato di Tortora, si occupa delle inevitabili trafile burocratiche. Francesca non ce la fa, non vuole. S’ imbottisce di calmanti, questo almeno pare a Gigi Speroni, che a fatica vince l’ emozione: Vent’ anni assieme ed eccomi qui, a vederlo rivestire…, la salma infatti è stata ricomposta, abito scuro, quasi nero, cravatta in tono, camicia bianca. Impeccabile, da morto, come in vita. Ci teneva alla forma, Tortora. Diceva che era un modo per sforzarsi alla serietà. Essere coerenti, sino alla fine, anche quando la disperazione ti fa andar via la testa. Ai primi di aprile, dopo due mesi di lancinanti dubbi, è lo stesso Enzo, febbricitante, ad annunciare che è malato di cancro e che domenica 10 aprile spiegherà in una conferenza stampa quali sono le sue reale condizioni di salute. Una scelta sconcertante per una parte dell’ opinione pubblica, coraggiosa per l’ altra metà. La stessa figlia Silvia fa sapere che non parteciperà alla sua conferenza, per pudore e dignità. Non mi piace esprimere i miei sentimenti in pubblico. Ma ho un grande rispetto per mio padre. Ma sabato 9 aprile, per un improvviso aggravarsi delle sue condizioni, è costretto al ricovero in una clinica milanese, la Madonnina, camera 515. Da quella stessa camera, si era fatto intervistare da Enzo Biagi nel corso della trasmissione Il caso: la mia, spiega Tortora, non è un’ invocazione querula di pietà, comunque sono assolutamente convinto che ci sia un rapporto fra il processo di Napoli e il mio male. In via Piatti, ora giunge il sindaco di Milano Paolo Pillitteri: una 164 metallizzata lo deposita davanti all’ ingresso del numero 8. Sono le 13 e 35 quando sale, sono le 14 quando riscende in strada. Anticipa che giovedì alle undici ci saranno i funerali nella basilica di Sant’ Ambrogio, accenna al desiderio di Tortora di essere cremato: Ero andato a trovarlo una decina di giorni fa, avevamo parlato del futuro, dell’ attività della fondazione che aveva costituito, ho portato il saluto alla famiglia per conto di tutta la cittadinanza. Poco prima delle tre, mentre il cielo comincia a rannuvolarsi e minaccia tempesta, scende anche Silvia. Pallida, i capelli trattenuti a coda di cavallo da un nastrino, una maglia viola e gli occhiali scuri, legge quattro righe e mezzo di un comunicato scritto a macchina che ufficializza l’ ora delle esequie. Noi non ce l’ aspettavamo. Tanto che ero andata al lavoro. Era sereno, tranquillo, sembrava leggermente migliorato. E’ stato così improvviso… dice anche lei con un filo di voce, si vede che resiste solo per fare un piacere a noialtri, suoi colleghi. Il portone si richiude. Una signora, Giovanna Menegazzi, vorrebbe consegnare un mazzo di fiori. C’ è una piccola folla, che aspetta. Chissà cosa: notizie, personaggi, o forse è solo lì per testimoniare fedeltà alla memoria del popolare uomo di spettacolo. Come la signora Casanova, di Porta Ticinese. Nella bara di Tortora verrà messa una copia del libro di Alessandro Manzoni, Storia di una colonna infame. Spietato resoconto di accuse false e di processi indegni, di impunità promesse, di sventurati destini. Tortora quel testo l’ aveva citato spesso, durante le udienze del suo processo: Ai giudici che, in Milano, nel 1630 condannarono a supplizi atrocissimi…. In via Piatti non poteva mancare Walter Chiari che considerava sua (per averla vissuta) l’ esperienza di Tortora: La vera storia di Enzo Tortora comincia oggi dice è la storia di un uomo che non ha saputo reggere una punizione ingiusta.di LEONARDO COEN